Regioni intere in lockdown; una situazione nazionale legata al covid: drammatica. Le proteste di piazza, i rischi per la salute, una situazione che sta mettendo in ginocchio molte aziende, con riflessi inevitabili per l’ordine e la sicurezza pubblica. Una crisi che non fa sconti a nessuno. Il susseguirsi di circolari e raccomandazioni orientate all’efficienza dei servizi di Polizia ed alla tutela della salute di donne e uomini in divisa, non sono servite ad evitare che una Poliziotta in servizio a Bologna e residente a Pordenone, per poter rientrare a lavoro ha dovuto pagare di tasca propria il tampone.
87 Euro spesi presso una clinica privata di Pordenone. Tutto questo al fine dell’idoneità e tornare in servizio. L’odissea inizia a Pordenone, dove la collega risiede ed avverte i primi lievi sintomi influenzali che però si esauriscono nel giro di soli due giorni. Il medico di base, dunque, non ritenendo il caso a rischio COVID, scioglie la prognosi con una certificato di sindrome influenzale, ritenendo non necessario il tampone nasofaringeo. E qui inizia il tam tam di telefonate, nulla da fare, il tampone è obbligatorio per rientrare in servizio, così le viene detto.
Peccato che né il medico di base né l’Ufficio Sanitario della Questura di Pordenone attivano la procedura per metterla in lista d’attesa ed effettuare il tampone. Perciò, vista la totale chiusura, la collega con sconforto, ma per alto senso di responsabilità, pur di tornare in servizio, decide di rivolgersi ad una struttura privata per poter finalmente effettuare il “famoso” tampone nasofaringeo pagando di tasca propria ben 87 euro. Una vicenda, quella descritta semplicemente SCANDALOSA. Una trappola burocratica che si fa fatica a collocare nelle fisiologiche sbavature che caratterizzano i momenti emergenziali. E’ SCANDALOSO che una Poliziotta o un Poliziotto debbano rivolgersi ad un ambulatorio privato per un obbligo propedeutico all’idoneità imposto dal proprio Ufficio.
Eppure, non è finita qui. Ad oggi questa spiacevole avventura non è ancora terminata, poiché, siamo in attesa di sapere se l’Uffico Sanitario della Questura di Pordenone si pronunci sulla competenza o no nell’accertamento di idoneità al servizio. Non è certo tollerabile né dignitoso un trattamento di questo genere, sopratutto alla luce dei complessi scenari lavorativi che stiamo vivendo e ci troveremo a gestire. L’auspicio che situazioni del genere restino casi isolati e che le attestazioni di stima e vicinanza verso le donne egli uomini in divisa trovino maggiore concretezza nel vivere quotidiano.